Parliamo di divorzio / Parlons divorce / Let’s talk about divorce

« …è stata quella volta… quella volta che…” (Punti e interrogativi, p. 99)

Ho sentito alcuni uomini lamentarsi di discriminazione nei loro confronti nel momento del divorzio. Fosse vero, sarebbe la prima che subiscono. Eppure non la sopportano.

Si lamentano di dover pagare gli alimenti quando i figli sono affidati alla madre. Come se doversi occupare dei bambini sia un privilegio e non un lavoro come un altro. L’affidamento alla madre limita le sue possibilità di impiego (della carriera non parliamo neppure), perché la grava di un lavoro. Anche le possibilità di rimettersi in coppia si riducono: molti uomini schivano le incombenze legate al ruolo di padre, figuriamoci se vogliono accollarsele per i figli di un altro uomo. L’ideale potrebbe essere l’affidamento condiviso. La maggior parte delle coppie divorziate che conosco lavorano entrambi fuori casa e hanno optato per questa soluzione, forse migliore sotto il punto di vista affettivo perché non privilegia un solo genitore, ma che obbliga i figli a traslocare ogni settimana.

Il problema si pone quando lei fa la family manager (lavoratrice senza salario) e a lui tocca versare gli alimenti. La questione finanziaria diventa allora un problema scottante e gli uomini se ne lamentano: secondo loro, devono dare troppo alla moglie e rimangono in braghe di tela. Precisiamo, tuttavia, che la maggior parte dei soldi non sono per la moglie, bensì per i figli, e quel che resta a lei paga semplicemente il suo lavoro di cura dei pargoli concepiti insieme. Probabilmente è persino sottopagata, ma diciamo che il momento del divorzio è l’unico in cui l’uomo si ritrova a remunerare il lavoro della moglie casalinga. Ed è talmente poco abituato a riconoscerlo come un lavoro e così abituato a riceverlo gratuitamente che, quando gli tocca pagarlo, non gli sta bene.

Ora, sarà un caso ma io, di donne divorziate che fanno la bella vita a spese del marito in braghe di tela non ne conosco neanche una. Le star non le contiamo perché se un tizio si fa 100 milioni l’anno, può anche sganciarne 5 alla moglie, no? Se ce li avessi io, vi assicuro che ne darei parecchi e senza patemi d’animo a un marito di cui vorrei liberarmi. L’unica donna che conosco che, a detta del suo avvocato, abbia fatto un divorzio giusto, ricevendo il dovuto – e di casi l’avvocato ne ha visti parecchi – presenta la seguente situazione: sono coscritti, eppure lui ha una casa, una nuova moglie e quest’anno va in pensione anticipata di 7 anni dopo aver avuto una carriera lineare e un salario conseguente; mentre lei è rimasta da sola, vive in un appartamentino e dovrà lavorare fino alla pensione ufficiale anche se è stufa marcia del suo lavoro e non riesce a trovarne un altro. Le altre donne che conosco ci hanno rimesso tutte e, nota bene, non ce n’è una che non lavori. Nessuna di esse, inoltre, è soddisfatta di quel che fa. Bel guadagno. Sfido chiunque a chiamare queste donne approfittatrici o mantenute (ah, che brutta questa parola inventata dagli uomini per definire una donna che sfacchina almeno tanto quanto il proprio compagno!).

Secondariamente, non conosco nemmeno un uomo divorziato rimasto in braghe di tela. Neanche uno. Ma c’è questa litania maschile, questo luogo comune che fa sembrare tutte le donne divorziate ricche abbastanza da starsene comodamente a casa a mettersi lo smalto per le unghie e non muovere un dito, “mantenute” da lui che, poverino, sgobba tutto il giorno. Chiedo a un uomo che sento ripetere questo falso mito: “fammi un nome”. Uno solo. Di donna “mantenuta” grassamente. Lui rimane di sasso: pensate un po’, non ha neanche un nome da fornirmi. Allora io gli sforno i miei, nomi e cognomi. Con la loro situazione di donne divorziate e lavoratrici.

Sento anche uomini dire che la moglie divorziata può lavorare. Giusto. Non vedo inconvenienti. Giusto però, se ha i figli abbastanza grandi da non doversene più occupare. Ma una volta che il lavoro di cura volge al termine, ci vorrebbero delle vere opportunità per tutte queste donne, ovvero dei datori di lavoro che offrano le stesse opportunità di assunzione a una quaranta o cinquantenne che ha interrotto il lavoro salariato per occuparsi della famiglia. Sappiamo tutti che non è scontato: è diffuso il pregiudizio (tra uomini ma anche qualche donna che ha sempre lavorato fuori casa) che tale donna, la casalinga, non sappia fare più niente e non abbia voglia di lavorare dopo tanti anni a non far “niente”. E anche quando ricomincia, riparte da zero. Non le viene riconosciuta nessuna competenza acquisita durante gli anni di lavoro da casa. La donna divorziata di una certa età è quindi vittima di una tripla discriminazione, per cui non farsi “mantenere” dall’ex-marito diviene quasi utopia. Il “che vada a lavorare” rimane auspicabile, certo. Ma piuttosto utopico.

Signori uomini, avete fatto voi le leggi. Detenete (ancora) voi il potere. Avete imposto ritmi di lavoro e modi di fare. Avete deciso che le donne non necessitano di un salario mentre lavorano occupandosi dei vostri figli, che facendo questo non sviluppano alcuna competenza utile e, anche quando siete dei capo azienda, non le assumete volentieri. Avete le vostre idee e i vostri pregiudizi che ci tocca accettare anche se non ci va bene. Adesso però non potete lamentarvene e anzi, salvare capra e cavoli a vostro favore. L’unico aspetto positivo della società di 100 anni fa e oltre, è che gli uomini approfittavano dei diritti ma accettavano i doveri. Adesso mi pare che vogliate solo i diritti. Cominciate a creare una società non discriminatoria verso le donne, e poi riparliamo volentieri anche di divorzi come piacerebbero a voi. Probabilmente, a quel punto, le condizioni starebbero molto bene anche alle vostre ex-mogli.

Parlons divorce J’ai entendu des hommes se plaindre de discrimination à leur encontre au moment du divorce. Si c’était vrai, ce serait la première fois qu’ils en subiraient une. Pourtant, ils ne peuvent pas le supporter.Ils se plaignent de devoir payer une pension alimentaire lorsque les enfants sont confiés à leur mère. Comme si devoir s’occuper d’enfants était un privilège et non un travail comme les autres. Le fait que les enfants soient confiés à la mère en limite les possibilités d’être embauchée (figurez-vous faire une carrière !), car elle est a un autre travail à faire et les employeurs ne sont pas dupes. Même les chances de se remettre en couple sont réduites : beaucoup d’hommes esquivent les tâches associées au rôle de père, a fortiori de vouloir les assumer pour les enfants d’un autre. L’idéal pourrait être la garde partagée. La plupart des couples divorcés que je connais travaillent tous les deux hors du foyer et ont opté pour cette solution, peut-être meilleure d’un point de vue affectif car elle ne favorise pas un parent seul, mais qui oblige les enfants à « déménager » toutes les semaines d’une maison à l’autre.Le problème se pose lorsque la femme est au foyer (sans salaire) et que l’homme doit payer une cotisation. La question financière devient alors compliquée et les hommes s’en plaignent : selon eux ils doivent trop donner à leur femme et en en pas assez pour eux. Précisons, néanmoins, que ceci n’est pas exact car ils ne donnent pas de l’argent pour la femme, mais pour les enfants. Le moment du divorce est le seul où la femme au foyer peut espérer une mince rémunération pour son travail auprès des enfants et du foyer. Les hommes, néanmoins, sont tellement habitués à le recevoir gratuitement qu’ils ne le considèrent pas comme un vrai travail et se plaignent donc lorsqu’ils doivent le payer. Maintenant, soyons clairs : je ne connais pas une seule femme divorcée qui vit la belle vie aux dépens de son mari. On ne compte pas les star car si un mec gagne 100 millions par an, il peut bien en donner 5 à sa femme, ou pas ? Si j’en avais autant, j’en donnerais beaucoup, et sans soucis, à un mari dont j’aimerais me débarrasser. La seule femme que je connaisse qui, selon son avocat, a fait un divorce équitable, recevant le dû – et l’avocat a vu de nombreux cas – présente la situation suivante : ils ont le même âge, pourtant il a une maison, une nouvelle épouse et cette année il prend sa retraite 7 ans plus tôt après avoir eu une carrière linéaire et un salaire conséquent ; alors qu’elle est toujours seule, elle vit dans un petit appartement et devra travailler jusqu’à sa retraite officielle même si elle déteste son travail et en cherche un autre depuis des années. Les autres femmes que je connais y ont toutes perdu et, notez bien, il n’y en a pas une qui ne travaille pas. De plus, aucune d’entre elles n’est satisfaite de son travail. Voilà ce que gagnent les femmes lorsqu’elles divorcent.Je défie quiconque de les traiter de profiteuses ou entretenues.Deuxièmement, je ne connais même pas un seul homme divorcé qui n’ait pas suffisamment d’argent pour vivre après un divorce. Pas un seul. Mais il y a cette litanie masculine qui prétend que toutes les femmes divorcées deviennent riches et peuvent rester confortablement à la maison, occupées dans des activités sympa comme mettre du vernis à ongles, sans lever le petit doigt, entretenues (ah, comme c’est moche ce mot inventé par les hommes pour définir une femme qui travaille au moins autant que son partenaire !) par un pauvre mari qui travaille toute la journée. Arrêtons les conneries ! Ceci se passe dans un nombre de cas très restreint, en particulier lorsque le « pauvre mari » a vraiment beaucoup d’argent et il peut en donner suffisamment à l’ex-femme. Je demande à un homme à qui j’entends répéter ce faux mythe : nomme-moi une femme que tu connais, largement « entretenue » par son ex-mari. Figurez-vous qu’aucun prénom lui vient à l’esprit en tant que preuve de ce qu’il affirme. Alors je débite les noms et prénoms des femmes divorcées et leurs (pas très réjouissantes) vies actuelles. Pas des mythes, des vraies femmes. J’entends aussi des hommes dire que leur femme divorcée peut travailler. C’est vrai et je n’y vois aucun inconvénient.C’est vrai, cependant, si elle ne doit plus s’occuper des enfants. Mais dans ce cas, il devrait y avoir de réelles opportunités pour toutes ces femmes, c’est-à-dire des employeurs qui embauchent une femme de 40 ou 50 ans qui a quitté le travail rémunéré pour s’occuper de la famille. On sait tous que ce n’est pas évident : il y a un préjugé répandu (chez les hommes mais aussi chez certaines femmes qui ont toujours travaillé en dehors du foyer) qu’une telle femme, la ménagère, ne sait plus rien faire et n’a plus envie de travailler après tant d’années à ne « rien faire ». Et même lorsqu’elle arrive à s’insérer à nouveau dans le marché du travail, elle recommence à zéro. Aucune compétence ne lui est reconnue après tant d’années de travail à la maison. La femme divorcée d’un certain âge est victime d’une triple discrimination et ne pas être « entretenue » par son ex-mari devient presque utopique. Le « au boulot !» reste souhaitable, bien sûr. Mais plutôt utopique.

Messieurs, vous avez fait les lois. Vous détenez (toujours) le pouvoir. Vous avez imposé des rythmes de travail et des façons de faire. Vous avez décidé que les femmes n’avaient pas besoin d’être rémunérées lorsqu’elles s’occupaient de vos enfants, qu’elles ne développaient aucune compétence utile et même lorsque vous êtes le patron, vous ne les embauchez pas car vous avez vos idées et vos préjugés que nous devons accepter même si cela ne nous convient pas. Mais maintenant, vous ne pouvez pas vous en plaindre et vouloir le beurre et l’argent du beurre. Le seul aspect positif de la société d’il y a 100 ans est que les hommes profitaient des droits mais acceptaient les devoirs. Maintenant, il me semble que vous voulez juste les droits. Et bien moi je dis : commencez par créer une société non discriminatoire à l’égard des femmes, ensuite nous accepterons volontiers des divorces comme vous les imaginez. Probablement, à ce moment-là, ces conditions conviendront tout aussi bien à vos ex-femmes.

Let’s talk about divorce

I have heard some men complain of discrimination against them at the time of divorce. If true, it would be the first they suffer. Yet they can’t stand it.

They complain about having to pay alimony when the children are in their mother’s care. As if having to take care of children is a privilege and not a job like any other. Reliance on the mother restraints her employment opportunities (we are not even talking, here, about her career), because she is burdened with a great job. Even the chances of finding another partner are reduced: many men dodge the tasks associated with the role of father, let alone wanting to take them on for another’s children. The ideal solution could be shared custody. Most of the divorced couples I know both work outside the home and have opted for this solution, perhaps better from an emotional point of view because it does not favor a single parent, although it obliges the children to move every week. The problem arises when the family manager does it (without salary) and he has to pay alimony. The financial question then becomes a burning issue and the men complain about it: according to them, they have to give too much to their wife and they are left with too little to make ends meet. I should be more precise, though: most of the money is meant for the children and if the wife gets some of it, it’s because she gets (finally!) paid for taking care of them. That money is probably even too little for the job, yet it is the only moment women get actually paid for doing it. So little are men used to recognizing that it is a job, that when they have to pay for it, they complain. Now, let’s be clear: I don’t know any divorced women who live the good life at the expense of their husbands. We won’t talk about stars, because if a guy makes 100 million a year, he can also give 5 to his wife, right? If I had them, I’d give willingly to a husband I’d like to get rid of. The only woman who, according to her lawyer, has made a fair divorce, receiving the due – and the lawyer has seen many cases – presents the following situation: they are the same age, yet he has a house, a new wife and this year he retires 7 years earlier, after a linear career and a consequent salary; on the other hand, she is alone, still lives in a small apartment and will have to work until her official retirement even if she hates her job and hasn’t been able to find another for years. The other women I know have all lost and please note that all of them work (be they satisfied or not with their job). I defy anyone to call them profiteers. Secondly, I don’t know any divorced men who are starving or even living with very little, because the wife took everything. Not even one. But there’s this male litany describing all divorced women like rich, comfortably sitting at home putting on nail polish and not lifting a finger, kept by the husband (ah, how ugly this word invented by men to define a woman who drudges at least as much as her partner!) who, such a poor guy, works all day. I ask a man I hear repeating this false myth: name one kept woman you know. Just one. He keeps silent. He cannot think of a name as a proof of what he’s saying. So I list mine: names and surnames.

I also hear men say that their divorced wife can work. Right. I see no drawbacks in that.

It is right, however, if she has grown-up children that he no longer has to take care of. But once the care work comes to an end, there should be real opportunities for all these women, i.e. employers hiring a 40- or 50-year-old woman who has left paid work to take care of the family. We all know that it is not easy: there is a widespread prejudice (among men but also some women who have always worked outside the home) that such a woman, the housewife, no longer knows how to do anything and has no desire to work after so many years of “ doing nothing”. And when she actually gets to go back to work, she starts from scratch, as if she had not acquired a single competence after all those years working at home. The divorced woman of a certain age is the victim of triple discrimination and not being “kept” by her ex-husband becomes almost impossible. What men say: “go to work” is certainly a good thing, but rather theoretical and utopian.

Gentlemen, you made the laws. You (still) hold the power. You have imposed work rhythms and ways of doing things. You’ve decided that women don’t need a wage while they work caring for your children, that they don’t develop any useful skills, and even when you’re the boss, you don’t hire them as easily as you hire men. You have your ideas and prejudices that we have to accept even if we don’t like them. Now you can’t complain about it and have your cake and eat it. The only positive aspect of the society of 100 years ago and beyond, is that men took advantage of the rights but accepted the duties. Now it seems to me that you just want the rights. Begin by creating a non-discriminatory society towards women, and then we’ll also gladly talk about the perfect divorce you are thinking of. Probably, at that point, your conditions would also suit your ex-wives.